La salute come benessere: dalla Commissione “Stiglitz-Sen-Fitoussi” al rapporto BES di ISTAT/CNEL


immagine benessereARS SEGNALA - 29/03/2013
Nel febbraio 2008, l’allora presidente francese Sarkozy affidava alla cosiddetta Commissione “Stiglitz-Sen-Fitoussi” (dal nome dei tre insigni economisti coinvolti) l’incarico di elaborare strumenti statistici idonei a rilevare quelle dimensioni del progresso e del benessere sociale “sostenibili” che non era in grado di misurare l’indicatore universalmente adottato per la ricchezza delle nazioni, ovvero il prodotto interno lordo (PIL). Il rapporto delle attività della commissione venne pubblicato nel settembre 2009: tra le 8 dimensioni in cui il benessere veniva declinato per la misurazione, la salute compare al secondo posto.

Tra i 22 autorevoli membri di quella commissione c’era Enrico Giovannini, ai quei tempi impegnato nella direzione statistica dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) a realizzare nuovi indicatori per misurare il progresso delle società.  Oggi, Giovannini dirige l’ISTAT, che in collaborazione con il Consiglio nazionale economia e lavoro (CNEL) ha recentemente prodotto il Rapporto BES 2013: il benessere equo e sostenibile in Italia.  Il rapporto è articolato in 12 capitoli o dimensioni del benessere (salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi) che riconducono sostanzialmente alle 8 dimensioni del benessere considerate dalla commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi. L'ISTAT commenta sul proprio sito web che questa iniziativa «pone l'Italia all'avanguardia nel panorama internazionale in tema di sviluppo di indicatori sullo stato di salute di un Paese che vadano oltre il PIL».

Salute come benessere equo e sostenibile:  le caratteristiche del rapporto BES 2013
Il primo capitolo del rapporto riguarda la salute. Basta scorrere velocemente il documento per comprenderne la natura innovativa nell’evidenziare il forte legame tra gli aspetti di salute e la qualità della vita, sulla scia di quel filone di studi in tema di Health related quality of life  la cui importanza nel panorama scientifico internazionale è costantemente in crescita. Il primo capitolo affronta il tema della salute degli italiani anche in rapporto agli altri europei, riportando dati di natura epidemiologica e relativi agli stili di vita e valutazioni non tanto focalizzate sulla malattia, quanto piuttosto contestualizzate sulla qualità della vita in assenza dei problemi di salute, e in definitiva sul benessere della popolazione.

Attraverso i tassi di mortalità e la speranza di vita alla nascita, viene inizialmente “fotografata” l’evoluzione dello stato di salute della popolazione tra il 2001 e il 2011. L’analisi viene poi indirizzata verso le valutazioni sulla qualità della vita attraverso indicatori più mirati, quali la speranza della vita in buona salute alla nascita e la speranza di vita senza limitazioni nelle attività quotidiane.  

A questo punto, il passo successivo è quello di investigare la salute nelle sue dimensioni fisica, mentale ed emotiva. La percezione soggettiva dello stato di salute viene così utilizzata come indicatore indiretto per stimare l’effettiva sopravvivenza delle persone, che si declina attraverso il Physical Component Summary per la percezione dello stato fisico e il Mental component summary per quello psicologico.   

Qualità della vita legata alla salute: gli italiani vivono più a lungo ma con forti disuguaglianze sociali
Ecco qualche spunto tratto dal primo capitolo. Gli italiani nel 2011 sono più longevi rispetto a 10  anni prima, ma con differenze di genere ridotte: gli uomini vivono in media 2,4 anni in più, le donne 1,7. In particolare, le donne che vivevano 6,8 anni in più degli uomini nel 1979, sono passate a 5,8 nel 2001 e 5,1 nel 2011.

La donne vivono comunque di più, ma non vivono meglio: la loro speranza di vita in buona salute alla nascita, ovvero il numero medio di anni che una neonata può aspettarsi di vivere senza malattie non letali ma che possono degenerare in condizioni invalidanti (artrite, artrosi, osteoporosi etc…), risulta essere 56,4 anni contro i 59,2 di un neonato maschio. In altre parole, una donna può attendersi di vivere oltre un terzo della propria vita (33,3%) in condizioni di salute non buone, contro un quarto (25,4%) della vita di un uomo.

Le donne sono ancora sfavorite nella speranza di vita senza limitazioni nelle attività quotidiane: compiuti i 65 anni, un uomo può aspettarsi di vivere in piena autonomia 9 anni sui 18,3 rimanenti; una donna 9,1, su un orizzonte di però di quasi 22 anni.

Il peggioramento dello stato di salute per uomini e donne inizia ad evidenziarsi tra i 55 e i 64 anni,  soprattutto in relazione all’indice preso in considerazione per valutare lo stato fisico, mentre quello per lo stato psicologico declina più lentamente. Le donne registrano valori inferiori su entrambi gli indici.  Al decremento degli indici con l’aumentare dell’età concorrono, sia per gli uomini che per le donne, fattori sociali discriminanti, fonti di disuguaglianze, come in particolare il titolo di studio.  Donna, anziana, poco istruita e residente nel Mezzogiorno: questo sembra essere il profilo della persona a rischio di  una ridotta qualità della vita a causa dello stato di salute.

Lo stato di salute degli italiani, continua il BES, è inoltre pregiudicato da stili di vita non appropriati. L’obesità, in particolare, nel 2011 appare diffusa prevalentemente tra gli uomini e i meno istruiti (questi ultimi meno propensi a seguire una dieta sana, specie se in giovane età).  I dati sulla sedentarietà delle persone di 14 anni risultano invece rilevanti (in senso negativo) a livello generale, ma particolarmente nel Mezzogiorno. Sempre nella fascia giovanile, poi, l’abitudine al fumo di tabacco non registra la tendenza alla diminuzione che tra 2001 e 2011 si è invece riscontrata per le altre classi di età e di genere, tra cui spiccano le donne giovani (meno di 44 anni) e più istruite.

Conclusioni: promuovere stili di vita più sani e ridurre le  disuguaglianze
I dati qui sintetizzati, non esaustivi dei risultati del rapporto che invitiamo a leggere per intero vista la sua chiarezza e fruibilità,  ribadiscono cose note, ma meglio contestualizzate nell’ambito della qualità della vita secondo le dimensioni della sostenibilità e dell’equità. In altri termini:
  • il benessere della popolazione dal punto di vista della sostenibilità deve passare dalla promozione di stili di vita più sani
  • il benessere della popolazione dal punto di vista dell’equità non può prescindere dall’individuare ed eliminare quegli elementi discriminatori che, a profili socio-anagrafici differenti, assicurano diversificate opportunità di godimento di una vita di qualità

Per approfondire