Epatite C e tubercolosi, alta vigilanza dentro le carceri (09/07/2013)


SOLE 24 ORE SANITA' TOSCANA 9 luglio 2013 pag. 3
L'AZIONE DEGLI INFETTIVOLOGI VA SUPPORTATA CON L'ADEGUAMENTO STRUTTURALE DEGLI AMBIENTI DI VITA

Le malattie infettive come l'Hiv/Aids, l'epatite da virus C (Hcv) e quelle a trasmissione sessuale sono molto frequenti tra i detenuti. Le cause principali sono da ricercarsi nello stile di vita di questa popolazione prima dell'ingresso nella struttura carceraria, che è ricorsa spesso all'uso di sostanze per via iniettiva e al tatuaggismo compiuto, frequentemente, in condizioni di scarsa igiene.

Studiare l'estensione della trasmissione di queste patologie all'interno del carcere è molto complesso soprattutto a causa della difficile valutazione di sieroconversione durante la detenzione, elemento che lascia aperto il dibattito sul carcere come luogo di possibile contagio.

Nella coorte analizzata dall'Agenzia regionale di Sanità della Toscana (3.329 detenuti), 371 persone (1'11,1 per cento del totale) sono affette da almeno una patologia infettiva, e un valore in forte diminuzione se si confronta la rilevazione precedente, in cui si registrava il 15,9 per cento.

Analizzando lo specifico sottogruppo, emerge chiaramente che la principale patologia è dovuta al virus C (Hcv) responsabile dell'omonima epatite.

Questo agente eziologico, frequentemente legato alla condizione di tossicodipendenza per via iniettiva dei
detenuti anche prima della reclusione, copre il 58,3 per cento delle diagnosi e risulta in lieve aumento rispetto al 2009 (57,5 per cento).

Da sottolineare però la forte differenza esistente con la popolazione generale toscana dove il valore, seppur sottostimato, è compreso tra lo 0,1 per cento e il 3,3 per cento, rispetto al 6,9 per cento osservato nell'intera popolazione detenuta.

Per quanto riguarda l'Hiv, la Toscana presenta una percentuale dell' 1,2 per cento, quindi valori molto più bassi rispetto al dato nazionale, che fra i detenuti oscilla fra il 7 e il 5 per cento. Anche in questo caso, però, la corretta lettura va fatta confrontando il risultato con il dato relativo alla popolazione toscana libera, nella quale si registra un'incidenza dello 0,005 per cento.

È forte la correlazione fra le infezioni da Hcv e Hiv con la condizione di tossicodipendenza: i nordafricani ne risultano meno affetti perché, pur essendo in misura maggiore dipendenti da sostanze, ne fanno uso per via iniettiva con frequenza minore. Così invece non è per gli italiani, che utilizzano soprattutto questa via contraendo maggiormente queste infezioni.

Altre due patologie che interessano la popolazione detenuta sono la tubercolosi (Tbc) e la sifilide.
Anche se il confronto diretto tra carcere e comunità risulta difficile a causa della diversa metodologia utilizzata nella raccolta dei dati, molti studi hanno mostrato l'elevata prevalenza di questa patologia fra i detenuti, con punte estreme per coloro che provengono dai paesi dell'Est Europa. In Toscana, dal 2009 al 2012 i detenuti affetti da Tbc sono passati da 13 a 29 (dallo 0,4 per cento allo 0,9 per cento dell'intera popolazione detenuta): ciò mostra chiaramente l'importanza che questa patologia assume anche nelle nostre strutture.

La situazione è ancora più chiara se consideriamo il dato di popolazione generale, che in Toscana nel 2011 ha avuto un'incidenza dello 0,004 per cento.

L'incremento della Tbc in carcere può essere ricondotto soprattutto all'alta concentrazione di fattori di rischio nelle persone che accedono alle strutture detentive: le infezioni sopraelencate, il basso status socioeconomico o l'essere senza fissa dimora. Ma non possono essere dimenticati la scarsa ventilazione e il sovraffollamento, che tendono sicuramente a favorire il diffondersi di questa patologia, rendendo il carcere un possibile serbatoio di infezione.

Non meno importante risulta il diffondersi fra i detenuti dell'infezione da Treponema pallidum (sifilide). Questa patologia è in aumento anche nella popolazione generale, ma nell'ambiente detentivo trova i presupposti per una maggior diffusione. L'attività di prevenzione è già attiva nelle strutture detentive - gli infettivologi sono presenti in quasi il 50 per cento degli istituti e garantiscono più controlli e più cure su misura - ma richiede comunque un ulteriore rafforzamento, non soltanto dal punto di vista sanitario ma anche da un punto di vista strutturale con l'adeguamento degli ambienti di vita.

Caterina Silvestri, Stefano Bravi - Agenzia regionale di sanità della Toscana

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