Salute dei detenuti in Italia: i risultati della prima indagine epidemiologica su oltre 15mila detenuti al convegno ARS


cellaQual è lo stato di salute della popolazione detenuta e come, l’ambiente detentivo, interviene nel determinarlo? Si è tentato di rispondere a questa domanda durante il convegno “Salute e malattia nei detenuti in Italia: i risultati di uno studio multicentrico” che si è svolto venerdì 10 aprile 2015 a Roma, organizzato dall'Agenzia regionale di sanità della Toscana.

Dalla giornata è emersa la “fotografia puntuale” dello stato di salute dei detenuti arruolati nello studio ovvero di tutti i detenuti presenti all’interno degli istituti penitenziari di 6 regioni (Toscana, Veneto, Lazio, Liguria, Umbria e dell'Azienda sanitaria di Salerno) alle 24.00 del 3 febbraio 2014.

Il contesto in cui si è sviluppato il progetto
Il contesto generale in cui si è svolto il progetto è stato illustrato dalla dottoressa Di Fiandra (Ministero della Salute). L’indagine aveva come obiettivo quello di rilevare le condizioni di salute della popolazione detenuta nelle strutture penitenziarie delle 6 regioni coinvolte nel progetto con particolare attenzione alla valutazione del rischio suicidario e alla sperimentazione di azioni preventive in alcuni istituti penitenziari degli enti partecipanti al progetto. Per raccogliere le informazioni è stata elaborata una scheda informatizzata, open source, che ha permesso di rilevare i dati socio-demografici e sanitari contenuti nella cartella clinica cartacea dei detenuti.

Il ritratto della salute dei detenuti
La popolazione detenuta arruolata, circa 16.000 soggetti in 57 istituti, dice Fabio Voller responsabile scientifico del progetto, è giovane (età media: 39,6 anni), con basso livello di istruzione, composta per la metà da stranieri (i nordafricani sono il gruppo etnico più rappresentato seguito dagli esteuropei) e per la quasi totalità (96,5%) di genere maschile. Nonostante l’età media sia bassa, oltre il 70% dei detenuti è comunque affetto da almeno una patologia: soprattutto disturbi psichici, malattie infettive e disturbi dell’apparato digerente. Sempre il 70% fuma sigarette (contro il 23% della media della popolazione generale) e si è notato un incremento dei fumatori durante la detenzione.

La prima patologia, che coinvolge il 24% dei detenuti dell’indagine, è la dipendenza da sostanze e la cocaina è la sostanza più utilizzata. Sandro Libianchi, Casa circondariale di Rebibbia, definisce il profilo del detenuto con problematiche droga-correlate: l’età media è 37 anni, la fascia di età più rappresentata quella tra i 30 e i 39 anni (38% dei soggetti) e i nordafricani risultano essere il gruppo più coinvolto.

Oltre il 40% dei detenuti arruolati è affetto da almeno una patologia psichiatrica, sottolinea Franco Scarpa (Opg Montelupo): i detenuti che presentano un disturbo d’ansia sono il 7,7% rispetto al 2,4% della popolazione libera di età 18-65, il 17% è colpito da un disturbo nevrotico o reazioni di adattamento e il 4,3% soffre di depressione.

Il carcere costituisce una comunità chiusa, sovraffollata, promiscua, un “concentratore di patologie”, soprattutto quelle infettive. Dall’intervento di Emanuele Pontali degli Ospedali Galliera si apprende che tra le malattie infettive l’epatite C è la prevalente (nel 7,4% dei detenuti rispetto al 2,7% nella popolazione italiana), seguite da epatite B e HIV nel 2% dei soggetti.

Sebbene la popolazione dell’indagine sia giovane, ipertensione, dislipidemia e diabete mellito di tipo 2 affliggono i detenuti, come ha sottolineato Giorgio Bazzerla ULSS Treviso nella sua presentazione. Le malattie dell’apparato digerente si collocano al secondo posto dopo le patologie psichiatriche per numero di diagnosi, di queste circa il 40% è costituito dalle patologie dei denti e del cavo orale.

La prevenzione del suicidio
I tentativi di suicidio ed i gesti di autolesionismo rappresentano una vera e propria emergenza nel sistema carcerario italiano. Nel corso dell’ultimo anno, infatti, il 5% dei detenuti ha messo in atto almeno due volte un gesto autolesivo. La fragilità di questa popolazione impone una programmazione di interventi che ponga al centro il percorso di recupero e reinserimento.
E proprio in questo ambito si è inserito uno dei successi del progetto, come ha evidenziato Caterina Silvestri, ARS Toscana. Su tutti i detenuti “nuovi giunti da libertà” con o senza precedenti è stato effettuato uno screening (tramite la scala di Blaauw): il 53% dei nuovi giunti è risultato positivo allo screening, il 44% circa presentava almeno una patologia e il 56% delle diagnosi rilevate era rappresentato dai disturbi psichici, soprattutto dal disturbo da dipendenza da sostanze. Su questo campione è stato applicato un protocollo specifico di prevenzione e non si sono verificati tentativi di suicidio.

Alla domanda se il carcere sia o meno un ambiente patogeno non si è riusciti a rispondere in maniera esaustiva: lo studio, essendo uno studio di coorte puntuale, si è basato sull’analisi della documentazione medica dei detenuti e non ha potuto seguire l’evolversi dello stato di salute della popolazione. Nel ringraziare tutti coloro che hanno reso questa indagine possibile, ci auguriamo che il progetto possa continuare.

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